“A natura non deerrare et ad illius legem exemplumque formari sapientia est” – Non deviare dalla natura ed il formarci sulle sue leggi e sui suoi esempi, è sapienza (Seneca, De vita beata, 3, 3)
L’Oberland è per antonomasia bernese, e significa Terre Superiori. Il Ghiacciaio che le ricopre, la Jungfrau (Giovane Signora) ha un’estensione pari a quella del lago di Como e uno spessore stimato di 1500 m. La Corncordia Platz, punto di incontro delle varie lingue di ghiaccio, ha una larghezza di 5 km alla quota di 2850m. La guardavo dall’Abeniflue a 3962 m , come se fossi sul Bregargno a osservare Bellagio con ghiaccio al posto dell’acqua.
L’accesso a queste Terre Superiori è il vero problema dello scialpinista. E deve fare una scelta impegnativa: o sganciare un bel po’ di franchi (150) prendendo il trenino che risale nelle viscere dell’Eiger fino al Jungfraujoch, o scammellare di brutto come, ad esempio, risalire tutta la Lotschental. Noi abbiamo optato per la scammellata e pertanto abbiamo fissato il ritrovo alle ore 3 del giorno 21 aprile, presso l’improbabile parcheggio “Coren” in quel di Meda, dove è venuta pure l’ispirazione di regolare proprio lì i ramponi.
Si parte in 6 sull’Espace, gentilmente messa a disposizione da Madame Anna e alle 6 giungiamo a Blatten.
Alle 6,20 ci incamminiamo e lì in fondo vediamo il Lotschenlucke a 3173m, il passo poco sotto la Hollandia Hutte. Sembra vicino, non pare mettere paura per i 13 km di sviluppo e 1750 m di dislivello.
Passano però le ore e il passo è sempre lì, senza aver la sensazione che si avvicini. La valle è comunque stupenda e allevia la fatica. Siamo solo disturbati dall’andirivieni di elicotteri che caricano e scaricano freeriders in mezzo al ghiacciaio. Di solito sono abbastanza tollerante verso l’uso dell’elicottero per sciare, magari un giorno lo prenderò anch’io, ma stavolta mi dà troppo fastidio: trasforma un luogo di una potenza e bellezza immane in un luna park usa e getta. Ed è un luna park che tenderà ad allargarsi sempre più se non si prende coscienza che non bisogna deviare dalle leggi della natura.
Il caldo inizia a farsi torrido e l’Hollandia hutte è lì, sempre più vicina, ma anche lontana.
Alle 3 di pomeriggio, finalmente raggiungiamo la meta: 8 ore e mezza di salita.
Mi faccio una meritata pennica e alle 18 è ora di mangiare. Si parte con una “sbobben” degna delle migliori tradizioni svizzere, dopodichè si passa allo spezzatino con la pasta.
Il sole sta tramontando dietro il l’Aleschhorn e allora è tempo di foto. Purtroppo non c’è il nostro fotografo ufficiale SA1 Francesco, ma comunque rimediamo egregiamente. Approfittiamo anche per ringraziarlo per essersi sbattuto per prenotare rifugio, telefonare e informarsi di tutto sapendo già da un mese e mezzo che non sarebbe venuto.
La sala da pranzo era veramente chiassosa: eravano gli unici italiani e, stranamente ci hanno serviti per primi. Negli altri tavoli un gruppo di inglesi, che ovviamente hanno trangugiato un quantità d’alcol colossale, e un gruppone di lungia tedesca dove spiccava maciste, una donna con due spalle enormi e che sarà stata sui 100 kg. Faceva paura e mi sono guardato bene dal fotografarla; ero curioso di vedere come avrebbe fatto a portarsi dietro tutto quel peso il giorno dopo.
Quindi tutti a nanna a gustarsi i concerti notturni.
Sveglia alle 5 e, fatta una bella colazione senza disdegnare salame e formaggio, partiamo alla volta dell’Abeni Flue.
Ci godiamo l’alba con il sole che salta su dal Finsterhaarhorn
e alle 9 ci godiamo il panorama di vetta a 3962m. Si vede mezzo arco alpino. Partendo dall’Eiger si gira in senso orario fino ad arrivare al monte Bianco: uno spettacolo.


La discesa avviene su neve dura e a gran velocità sul ghiacciaio piatto, con la sensazione del volo radente.
Ci fermiamo al Lotschenlucke dove aspettiamo le 11 in attesa che la neve si scaldi al punto giusto.
Poi giù per 13 km fino a Blatten …..
…….con un doppio salto mortale rovesciato finale.
Paghiamo il parcheggio o, meglio, la multa di 40 franchi per parcheggio in divieto di parcheggio: strani sti svizzeri.
Poi via, si risale al Sempione e ci si ferma a mangiare alla dogana di Gondo: posto lugubre in fondo a una gola dove non ci sarebbe nulla se non ci fosse appunto la dogana: ma ormai è un’abitudine fermarsi lì, tanto che ci siamo quasi affezionati a quel posto.
Quindi rientriamo in quel magnifico parcheggio di Meda da dove eravamo partiti, e dove ora dobbiamo dividerci, con un po’ di malinconia perché siamo stati proprio bene assieme. Grazie a Tutti!
Madame Anna, Donna Federica, Carlo, Bob, Matteo
Alberto