“Le difficoltà rafforzano la mente, come la fatica rafforza il corpo” [Seneca]
A conclusione del corso ospitiamo qui la narrazione di Alice
Ho iniziato questo corso titubante: spinta dal desiderio di conoscenza e di compagnia per qualche scappatella in più sui monti, ma, ammetto, un po’ anche per seguire le orme paterne e rendere papà Stefano fiero.
Con la montagna ho sempre avuto un rapporto strano: amore e odio, un’attrazione viscerale, venerazione e rispetto profondi, misti ad un infinito timore della fatica e di colei che “non è madre, a quelli come me non riserva premure”.
Insomma dicevo, alla fine mi sono iscritta, SA1-24 CAI Valle del Seveso, stessa scuola in cui il mio stambecco padre è stato istruttore e anche mia madre allieva, sempre prima nel raggiungere le mete ad ogni uscita.
Ecco quindi qualche aspettativa: “Sei figlia loro! Figlia d’arte!”…ecco sì, non proprio.
Sciare in pista tutto ok, ma quando poi esci? La neve fresca, gli ostacoli del territorio? Per non parlare della salita, allenamento zero…e delle semplici mosse tecniche: metti e togli le pelli, attacca e stacca gli sci…tantomeno le cose più avanzate, di cui la maggior parte dei miei compagni di corso sembrava essere già conoscitrice: l’uso dell’ARTVA (Apparecchio di Ricerca dei Travolti in Valanga) della pala e della sonda, l’uso delle carte e della bussola, apprendere informazioni sulla gita che si decide di fare e poi tutti quegli strumenti all’avanguardia che ti aiutano a orientarti sui monti, di cui molti erano già in possesso e abili utilizzatori. Quindi mi presento con sci con attacchi un po’ antiquati rispetto a quelli di tutti gli altri; un’ARTVA da farmi prestare perché la mia, o meglio della mamma, è analogica e non digitale; conoscenze minime delle tecniche dello sci alpinismo ed esperienza di montagna invernale veramente bassa.
Insomma va a finire che sono sempre la chiudi gita: lenta come una lumaca stanca con uno degli istruttori, a cui per sua sfortuna sono stata affidata, che con enorme pazienza ogni volta si trova a dovermi rispiegare come si fa una pertichetta (gergo tecnico per indicare un cambio di direzione in salita).
Ma nonostante questo presente, con voglia di imparare e migliorare.
Le sveglie la domenica mattina ad orari a cui molti dei miei coetanei vanno a letto sono state sempre un po’ pesanti (per fortuna non guidavo mai quindi Orfeo mi dedicava un’altro paio d’ore di sonno, chiedo scusa ai guidatori) ma ricompensate da quel silenzio esterno di luoghi lontani dalla città e dalla vita caotica, ed interno, perché quando la fatica inizia a farsi sentire (e io inizio a sentirla molto presto 😅) dentro di te si crea il silenzio: lontani dalla vita quotidiana ti rimane solo da conoscerti, scavare nelle tue paure, affrontare i tuoi limiti, imparare a credere in te. E così ho fatto.
Ogni gita mi ha insegnato ad ascoltarmi: il battito del mio cuore, il mio respiro, la cadenza del mio passo per poter arrivare alla meta senza buttare energie.
Ho imparato a spegnere la mia testa che tentava di convincermi di non poter continuare, di non avere più energie, di mollare.
Mi son venute vesciche per gli scarponi e sulle mani per il freddo.
Mi sono sentita inadatta, incapace, impotente e minuscola ma anche libera, forte e con più risorse di quelle che credo.
Ogni volta raggiunta la meta la soddisfazione, l’essere fiera di me stessa e il panorama, ripagano ogni fatica; la stanchezza la sera e i muscoli doloranti hanno quel dolce sapore di completezza, di pace nel cuore e nella mente, densi di quel desiderio di ritornare lì subito, tra le cime, le rocce e la neve, a ripercorrere la fatica, l’adrenalina e momenti di vita piena e vera.
Quindi grazie a tutti gli istruttori: chi pazientemente è stato con me, chi mi ha spronato con fermezza, chi ha messo a disposizione il suo tempo per spiegarci ed insegnarci, chi ha cercato di tirarmi in mezzo al gruppo (esserino asociale quale sono nei gruppi), chi mi ha vestito mentre gelavo a 2800 mt tra vento forte e neve che sferzava il viso, chi mi ha raccontato aneddoti di avventure con mio papà, che di queste cose parla poco e chi per me è diventato un esempio.
Questo corso, oltre che ad avermi insegnato la teoria, mi ha mostrato la correttezza del mio rapporto con la montagna e mi ha anche insegnato che ciò che riporti a valle, vale molto più di quelle ore di fatica o sonno in meno; ma soprattutto mi ha insegnato me stessa, tante parti di me che non si erano ancora incontrate hanno preso forma.
Farò tesoro di ogni piccola, grande cosa appresa.
Siamo solo all’inizio, canterò come cantan le montagne