Riferimenti: a piacere
Difficoltà: nel sopportare l’odore
Valutazione della roccia: un poco hontas
Questo è stato l’esempio di come una normale gita possa trasformarsi in una vera & propria avventura! Una di quelle che non si possono scordare facilmente.
A giudizio di tutti è stata l’esperienza più bella (…fatta in montagna) nel corso del 1995.
I FATTI: i pistööla sono sempre i soliti, e cioè Antonio, lo Scaldabagno, Jean, Il Micione & ül Pedër, e decidono di andare al Biwacco Regondi – Gavazzi, collocato alle pendici del Grand Combin.
Anche questa volta dovevamo essere in tanti, ma poi i vari impegni ci hanno condizionato; del resto il biwacco -questa la nostra meta- non dispone di più di 16 posti.
Profit e l’Adobatissier sono impegnati ad Arco per il Rock Master, quindi non saranno dei nostri, almeno per la giornata del sabato; ci raggiungeranno, però, la domenica.
Dati i vari impegni, decidiamo di partire nel pomeriggio del sabato (siamo già in novembre inoltrato!) sperando di non metterci troppe ore a raggiungere il sito.
Infatti nessuno della combriccola è mai stato sul luogo; tuttavia questo non ci spaventa, anche se dovessimo pedalare al buio.
Si parte dalla casa del Jean verso la una del pomeriggio, con la uno di Marco, per una giornata che non promette nulla di buono quanto a tempo: sono infatti tre giorni che piove di seguito.
Sembra di essere tornati indietro agli anni ’50 quando gli alpinisti partivano in motoretta o in bicicletta: noi eravamo in 5 sul rottame del Micione con 5 zaini + gli scarponazzi lerci e puzzolenti che ci hanno deliziato con le loro essenze!!!
Il fetore è insopportabile, vien voglia di vomitare e in più ci si mette anche la radio; prima canzone in classifica: buvrrrrrèèèèèèèèèè******llllààlàlàlàlàlàlàl…….baby!
Le strade sono in condizioni pietose, ma la Macigno-Mobile del Micione tiene benissimo, almeno fino a quando la benzina non è dietro a finire.
Decidiamo dunque di fermarci per riempire di nuovo il serbatoio alla successiva area di servizio, che troviamo appena entrati in Valle d’Aosta.
Qui, il primo di una lunga serie di episodi: fermi alla pompa della benzina, l’Antonio sente in lontananza la musica di Radio Deejay; incuriosito e con fare circospetto si avvicina al pomparolo chiedendogli: “Scusa, tu che sei del posto, mi sai dire per cortesia che frequenza ha qui radio deejay?”
Pomparolo: “Cendoseipundoquaccrio”
“Caspita, ma sei proprio del posto, ti ringrazio!”.
Il viaggio riprende tranquillamente verso la Val Pelline, dove arriviamo verso le 16.00, con un bel cartello esposto dietro che ci fa sentire più forti: Cai Desio-Bovisio
Non conoscendo il posto, chiediamo ad un tipo con la JEEEEEEEEEEEEEEPP (che di nome probabilmente fa Jeeeppppetto) se la strada è giusta:
Gruppo: – Ueh, tipo, scusi, noio wulewon, wulewan savuar…..l’indiriss…per andare al biwacco, è giusto per di qua?-
Tipo: – Certo! ma è una strada poderale e voi non potete passare!
Gruppo: – Ma noi siamo del Cai!
Tipo: – Ah, beh, allora……andate pure, senza problemi, dovete fare ancora un bel po’ di km prima di lasciare la macchina.
Gruppo: – Tranquillo tipo, sappiamo il fatto nostro, l’abbiamo letto sui libri!
Dieci minuti più tardi: “Alt! chi siete….cosa portate……sì ma quanti siete……un fiorino!”
“Ma noi siam di Montevecchia,
siamo gente dura,
chi ci vuol sfidare fa brutta figura!”
“Alt!….chi siete…cosa portate….sì ma quanti siete….un fiorino!”.
Riprendiamo dunque il cammino, nel bel mezzo della nebbia, quando all’improvviso (2° episodio), ecco spuntare una mandria di waccche; essa si dirige proprio verso di noi e crediamo di non avere più scampo; saranno circa un centinaio e grosse.
Non sappiamo le loro intenzioni, ma ci accorgiamo che sono delle giocherellone: corrono, si strisciano contro gli specchietti e ………. giocano a cavalletta!
I nostri buoni amici ci hanno indicato alcuni riferimenti per raggiungere meglio il posto e, fra questi, una distanza di 30-32 km dal 5° semaforo di Aosta alla roulotte.
Siamo con gli occhi puntati sul cruscotto fino a quando scatta il 32° km; ci fermiamo, convinti di essere nel punto giusto e decidiamo che da questo punto in poi saliremo a piedi raggiungendo la meta in meno di 2 ore – perchè il futuro dell’alpinismo è il rispetto degli orari!
Sono le 18.30 quando abbandoniamo la macchina del Micione sul ciglio di una curva.
Siamo super-accessoriati: zaini himalajani…TAC, scarponi pesanti…TAC, frontale…TAC, sedie per i commensali che non ci sono…TAC, radioline…TAC, macchina per someansa…TAC.
Stando alle indicazioni ricevute, dovremmo raggiungere per prima cosa una curva con una salita sostenuta e una roulotte nel giro di 10 minuti……. Voi l’avete vista?
Il buio è pesto, la nebbia ci investe a + non posso; insomma cominciamo a credere che passeremo la notte all’abbraccio.
Dopo 10 minuti primo bivio: -Cosa fasemo?-
-Io tento di passare attraverso la seraccata, tanto ciò la radiolina, al massimo vi chiamo (…e comunque vi ringrazio!) –
– Non allontanarti troppo, ho paura del lupo! –
– Tranquillo, vado awanti 5 minuti e poi ritorno –
……….”Jean mi senti, passo” ……….”Torna indietro, passo”
Incasinati, non sappiamo dove andare, ormai non ci orientiamo più nel dedalo di strade e sentieri; ma ecco che, all’improvviso, ci appaiono delle case, una roulotte e una curva: alè ci siamo, siamo arriwati! ……………………………………………………..Invece no.
Decidiamo di proseguire ancora un’ora setacciando la valle, ma niente da fare.
Ad un certo punto ci appare il cartello che indica il bivacco: siamo salvi (zio vagon de sabia, 3 volte por¢ëo per ogni granëo!) e , in ognuno di noi, nasce la certezza di essere ormai vicini alla meta.
Incredibile ma vero, non riusciamo comunque a trovare la strada, perchè il zentiero svanisce proprio zul più bello e non c’è verso di ritrovarlo: procediamo a tratti, tutti a schiera, ma niente.
Verso le 21.15 ci rassegnamo: “Vabbè, non è niente, abbiamo voluto l’avventura e qui comincia!”. “Comunque, poco più indietro, ho visto un Hotel, possiamo fare tappa là!”
“Ochei, penso che sia un’ottima idea, non vedo l’ora di farmi un bagno caldo!”.
Torniamo dunque indietro fino all’Hotel, che porta un nome abbastanza originale: OSTELLO 3 STALLE; chiediamo il perchè di questo nome, ma non riusciamo ad avere risposta, pürcela!
Due cose ci colpiscono: 1) l’odore; che è così familiare, così ricco di vita!
2) la gentilezza del personale, che ci porta le valigie nelle camere.
Poco dopo, però, rimaniamo sconcertati: l’Hotel è bellissimo fino a quando si resta nella hall; non appena si salgono le scale le cose cambiano, la raffinatezza lascia il posto alla volgarità, al cattivo gusto!
“Abbiamo scelto proprio un bel posto di mmerda!”
“Sono pienamente d’accordo a metà con te, ma non c’era di meglio; gli altri sono tutti chiusi per ferie!”. Era una stalla!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
LA CENA: siamo organizzatissimi e possiamo preparare tutte le prelibatezze del caso: cominciamo col pizzare i fornelli, sistemare i tavoli, accomodare gli armadi e, naturalmente, rifare i letti. Quest’ultima è l’operazione che ruba più tempo, in quanto dobbiamo chiedere le reti ai vicini, che si dimostrano però molto generosi.
Il nostro è certamente un lauto pranzo, preparato con l’ultimo modello di cucina a gas disponibile sul mercato; megnù:
spaghetti al tonno (sono praticamente un ammasso contorto e per dividere le parti dobbiamo usare l’ascia!), senza condimento (aglio, peperoncino, ma non olio) würstel, salamini, formaggi vari, pane, pisellini, cioccolato, latte e via di seguito.
– Rebambì, potremmo usare l’olio del tonno!-
– Pürcelassa, non ci avevo pensato; speriamo che il Jean abbia comprato il tonno all’olio di oliva! INFATTI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!………………….! Era quella al naturale.
– Fa nulla! Dobbiamo arrangiarsi come possiamo; ricordatevi che in spedizione ci saranno condizioni peggiori -.
– Per digerire vorrei qualcosa di buono, un regalo …..e del cioccolato! –
– Ti possiamo preparare una ciccolattta con la Ciobar, se wuoi.-
Prima di coricarci ci assicuriamo che tutto sia a posto: chiudiamo l’acqua, spegnamo le luci e sariamo su anche la bombola del gas, non dimenticandoci di sistemare i serramenti, per evitare sgradevoli incontri notturni. Il luogo è sempre una misera stalla !!!!!!!!
Dormiamo tutti su letti Luigi XIV, con tendine laterali e sgabello per salirci sopra: una meraviglia!
All’inizio, però, è molto difficile prendere sonno, perchè i caloriferi sono freddi e, in più, la Tata si è dimenticata di accenderli il giorno prima; nervosi continuiamo a girarci fino a quando riusciamo ad impacchettarci grazie al bell’Antonio che ci elargisce un dolce sonetto:
“……Oh ragazzi, Faccio fatica a distogliere gli occhi dal cielo…..
…….Che panorama che offrono gli spiragli delle tegole; mai visto nulla di simile!……”.
La visione ci è resa possibile grazie alla resegâda dello Scaldabagno, che praticamente è durata per tutta l’interminabile notte. Finalmente arriwa il giorno della resa dei conti col biwacco.
Ci svegliamo circa verso le 7.30 e le prime frasi della giornata sono memorabili:
1) “Devo andare al cesso!”………”Ci sei già!”.
2) “A l’è matìna, ma l’è anca la prima vôlta cà sà svegli e sûn gemò in merda!”
La colazione consiste in un bel tiè caldo con biscotti + pane, praticata accanto ad un piccolo falò acceso con uno dei mobili dell’arredamento, visto che in qualche modo dobbiamo riprendere le forze e visto che la meta la dobbiamo raggiungere comunque , seno n altro per evitare il pieno fallimento della gita!
Ripuliamo tutto, ci carichiamo gli zaini, rimettiamo la chiave sotto lo zerbino e, dopo un paio di someanse, ripartiamo alla volta del bivacco.
Ormai è nostro, lo vediamo stagliarsi sul ciglio di un dirupo dawanti a noi e lo raggiungiamo in circa un’ora e mezza.
Dobbiamo ammettere che l’opera è stata fatta veramente bene e che lo spetacul intorno è grandioso, nonostante la nebbia ci impedisca di vedere oltre una certa distanza: il Mont Gelè à l’è tüt gelà, ma presenta una bella bastionata.
“Tutti in coperta!”, questo è il motto una volta entrati e non ce lo facciamo ripetere due volte; avvolti in 5 coperte ciascheduno, passiamo un’ora nel mondo dei sogni, risvegliandoci (non proprio tutti!!!!!!!!) desiderosi di un the caldo o di un cappuccino.
Come sempre le cose finiscono e quindi siamo costretti a tornare; chiudiamo tutto, scattiamo qualche foto, ci mettiamo in posa e poi riprendiamo il zentiero di discesa nuovamente nella nebbia, con il rumore del pentolame che risuona in walle.
Rivediamo tutto il percorso fatto la notte prima e ci accorgiamo di essere proprio soli: crediamo di vedere Profit & l’Adobatissier sui costoni laterali.
“Ma cosa stanno facendo????!!!!???!?!?”
“Stanno cercando noi!” …..”Ma no, non vedi che quelli sono due sassi?”
“Non si saranno mossi da casa con questo tempo!” ……”Hai ragione”.
Stremati raggiungiamo la macchina e ripartiamo alla volta di casa; una volta immessi in autostrada un altro episodio degno di nota: dawanti a noi c’è una Tipo targata MI + qualcosa d’altro che non mi ricordo, ma che comunque appare molto simile, se non identico, a quello della macchina di Profit.
Decidiamo allora di Affian Carlo per salutare: acceleriamo, superiamo, ci affianchiamo, tiriamo giù il finestrino e……… non sono loro.
Solo che questi hanno ciapato uno stremizio talmente grande che ci hanno risuperati e sono schizzati via!!!
Il viaggio termina senza altri episodi da memorizzare, se non quello della visita al nostro Diretür: volevamo portargli solo i nostri saluti; lui è stato veramente gentile e premuroso.
Infatti ci ha accolto ………..”a finestre aperte!”
Ai corsi eravamo stati avvisati: “Quando sarete in giro, vi troverete spesso in situazioni di mmerda! State attenti”.
Il nostro problema era di capire se una situazione di mmerda come questa poteva fare curriculum o se il nostro era semplicemente un curriculum di mmerda!!!!!…….!
Saluti & baci da “quei ch’in minga à post!”.
Sei un grande ciao.