E’ il nostro pesce d’aprile per il 2012! Magari al cartoccio, ma servito con un certo stile a più di 3.000 metri fa sempre la sua porca figura.
Per questa gita non si usa nessun acronimo, nessun rafforzativo, nessun nome comune aggiunto: né Pizzo, né Monte, né Cima…..semplicemente Basòdino e l’accento mettetelo un po’ voi dove diavolo volete! Anche gli swizzeri, che di solito un Grat, un Horn o un Spitze lo ficcano dappertutto, lo chiamano così.
Lo facciamo “all’americana”, ossia partendo nel pomeriggio del sabato e dirigendoci prima a Riale e poi salendo al Rif Maria-Luisa che più che un rifugio sembra un Ranch! Ogni volta a dire: “vado giù in sala pranzo” oppure “scendo a fare colazione”, ma in realtà c’è poco da salire/scendere visto che è tutto sullo stesso piano: è bellissimo e ricorda molto i rifugi “di una volta”, quelli in cui ti senti proprio bene. E’ addirittura munito di una sala-lettura completamente dedicata solo a questo!!! Mitico. E’ un po’ come se l’avessero costruito con le carte: sono partiti dal centro e poi han kagato lateralmente le estensioni.
Siamo a Riale intorno alle 16.30; il tempo di metterci in moto e per le 18.40 siamo là, pronti a degustare la cena…..se non fosse per la incredibile “tanfa” che si respira nella sala degli scarponi, che fa da filtro inevitabile tra la porta d’entrata e l’androne che precede la sala da pranzo (tatticamente c’è qualche difetto oppure c’è qualcos’altro che a noi è sfuggito). Ad ogni modo è una specie di groppo che ti colpisce la gola: è come far fare tredici ore di sport estremo ad 80.000 persone e dire loro di andare subito dopo a San Siro a togliere le scarpe. Il prato verde subirebbe il tracollo finale, oltre alla morte sicura di qualche spettatore!
Comunque e salvo questo episodio, il rifugio è molto accogliente e ci troviamo a nozze. C’è molta gente e ognuno ha in mente giri diversi per la domenica. A tavola ci siamo rifocillati a meraviglia, discutendo variamente e qualunquemente ed ascoltando i consigli di Diego su come utilizzare l’I-Phone (naturalmente senza avere “ritenzione idrica nelle dita” oppure togliendosi il “borsello di salvataggio del San Bernardo”!). La cena è stato anche un momento conviviale dove per qualche istante abbiamo creduto di poter vedere in fianco a noi personaggi di un certo calibro (tipo Nino d’Angelo oppure il matusa dietro di noi che sembrava il fratello di Osvaldo Bevilacqua……e che probabilmente portava due clienti a vedere “Sereno Variabile”). La notte passa abbastanza indenne, salvo la caldazza che sopraggiunge e la peperonata che viene a bussarci con rutti da manuale.
La sveglia è per le 5.40: il tempo di collazionarci e via verso il Kastellucke, una specie di mitico colle che sorge in seconda posizione alla sinistra orografica del Kastelhorn, bastione impressionante che si vede anche da Riale e che personalmente ritengo di forma molto più estetica rispetto al Basòdino. La salita è ripida e fa guadagnare subito dislivello, per contro il vento bastardo ed un remollo che manca, rendono la salita del primo e dell’ultimo pezzo abbastanza ardua per via degli sci che scappano sotto il manto semi-gelato. Saliamo speditamente, ma veniamo “polverizzati” dalle tutine che come al solito compaiono bellamente e si dileguano alla stessa maniera. Il traverso che porta al jazée è un po’ critico, segnalato anche dalle relazze e da percorrere solo con neve sicura; con gli anni il livello di neve si è abbassato e quindi occorre stare bassi, ma non troppo: un piede in fallo su un traverso del genere significa un paio di 300 metri di volo ed un cucchiaino pronto a raccogliervi in fondo al vallone.
Rimessi i piedi sul ghiacciaio, si tratta di spostarsi sul fronte opposto per risalire una nuova costola che ci deposita su un altopiano che percorriamo sopraffatti da una stanchezza bestiale.
Nel frattempo arriva anche un gruppo assai numeroso di svizzeri saliti dalla Capanna Basòdino, gruppo che occuperà la cresta che separa il deposito sci dalla cima. Come al solito scopriamo che il gentil sesso svizzero apprezza questa passione molto di più di quello maschile e non molla mai (buonciorno, buono ciornata, giao, ect…..).
Noio in circa quattro orette siamo in cima e la cresta finale richiede attenzione: qui se sbagli non c’è più il cucchiaino….c’è direttamente la cassa in legno aperta!!!
Siamo lì tutti insieme, compreso quel matto di Faustino che si è spupazzato la salita praticamente in giornata; partito alle 3.00 da casa, ce lo siamo ritrovato puntuale come un calabrese nei pressi del rifugio (il cellulare non prendeva ma siamo riusciti non so come a trovarci esattamente come stabilito ed all’orario concordato)(robe da leccarsi i baffi anche dopo una spolverata di peperoncino di Soverato!).
Comunque il Basòdino è una montagna imponente che non scherza e che guarda in ogni-dove con vista paralizzante: in primis sull’Oberland e su alcune cime da brivido, come il Bietschorn, che oltre all’imponenza aggiunge l’eleganza oppure l’Aletschorn che prima o poi andremo a visitare.
Foto di rito e qualche mossa delicata per adattare le terga alla difficile conformazione rocciosa della cima e poi giù verso gli zaini per rifocillarci. Oggi un clima particolare e doppio: caldazza fino al Kastellucke e poi ventazza pungente per tutto il tragitto restante; oltretutto una ventazza che ci ha seguito anche quando la conformazione della montagna avrebbe scongiurato ogni possibile minaccia: il vento sembrava un “missile Patriot”….quelli intelligenti che seguono l’obiettivo fino a quando non lo centrano. Di solito succede sul lavoro, ma ritrovarsi in una condizione simile qui sui 3.000 metri infastidisce leggermente l’animo!
Sulla cresta al ritorno incrociamo una biondina tutta sola che ci chiede lumi sulle condizioni; crediamo sia in compagnia invece scopriamo presto che si è bevuta il nostro stesso percorso, ma tutta sola……mah! Ritornerà con noi, ma solo sfiorandoci e sarà come una lepre che sfreccia selvatica verso l’Italia.
La discesa ci riserva neve a tratti goduriosa e a tratti crostosa, poi dobbiamo risalire la china del “famoso traverso” che ci riporta al Kastellucke ed infine ce la godiamo da qui alla portiera della macchina. Una discesa fantastica dal Colle al rifugio e poi un po’ di free ride in “merda-mola”, ma sempre con libidine accentuata sino al fontanino di Riale dove riprendiamo finalmente fiato.
Stanchi e contenti cerchiamo di ritrovare noi stessi, mentre la Uno di Faustino sta per ricordargli che il portellone non è più quello di una volta e che al ritorno il conta-kilometri potrebbe ripartire nuovamente da zero (quinta-sesta volta?).
Noi ne approfittiamo per fermarci alle cascate del Toce per una birretta ed una fetta di torta/colomba che, dopo una simile cavalcata, è lecito portare alla bocca. Traffico come al solito inesistente, stanchezza che resta confinata nel pensiero e la dolce casina che fa la sua comparsa molto in fretta. Alle 17.30 possiamo finalmente ricominciare “un nuovo giorno”.
Partecipanti: Stefania, Silvano, GigiM, Al(Ro)berto Ronz-Bolle, Faustino, Diego (il nostro Diego italiko o “Pibe della Formazza”): un bravo visto che ha fatto tutto in estrema armonia (attento e preparato considerato l’itinerario) e non si è mai lamentato e Patajean.
Adess…sota k’unt’ül laürà.
PJ