IL CAI DESIO NELLE ODLE: WEEKEND DOLO-MITIKO ! 14-15 SETTEMBRE

 Le nostre mete:

· Ferrata Sandro Pertini allo Stevìa mt. 2.312: sostenuta, ma veramente difficile solo per l’esposizione;

· Piz Duleda: mt. 2.909 ‘s.l.n.’ (“sul livello della nebbia”); da escursionismo facile, ma spettacolare per la vista nei nano-secondi di apertura della volta celeste;

· Traversate: dalla Vallunga al Rif. Stevìa prima (2.312 mt), al Rif. Firenze poi (2.037 mt), al Rif. Puez infine (2.475 mt)….e per completare in Vallunga nuovamente………con la macchina che da piccina piccina finalmente si è materializzata.

· Ferrata Sass Rigais: bella, ma sarà per la prossima volta!


Ultimamente ci viene molto bene fare le cose al “contrario”: è un po’ come iniziare dal conto o dalla frutta e ritornare all’antipasto o al bianchino d’inizio.

 Siccome la meteo all’ultimo momento di questo weekend ha cambiato canale, anche noi ci siamo adeguati e abbiamo cominciato a fare quello che avremmo dovuto fare il giorno successivo; dato che anche il proverbio induce a comportarsi così, meglio prendere a sberle l’interlocutore subito, tanto prima o poi capita l’occasione per la quale lui stesso ne capisca il motivo! Ovviamente qui non abbiamo preso a sberle niente e nessuno, ma solo anticipato le mosse.

Partenza fissata alle 5.30 da Desio e puntualità estrema, pit-stop “fasullo” ad Agrate e cambio gomme ad Affi, dove l’aria è freschina. Alle 9.32 siamo in Val Gardena, dove il verde ti fa sempre venire in mente, in qualche maniera, l’ordine e dove l’invidia per il modo in cui “lì” riescono a valorizzare le risorse disponibili è inversamente proporzionale alla materia grigia necessaria “qui” a capire che ci vuole poco per farlo, anzi “qui” più che pensarci bisogna imporlo!!! Giornatone da urlo, con l’aria fresca che entra nel coppino, ma senza far male visto che noi saremo tutto il tempo spetasciati al sole della Stevìola, serie di pareti vertiginose con versante solivo.

La Ferrata Pertini è classificata come difficile, soprattutto per il tipo di esposizione: continua e sostenuta in alcuni passaggi; a livello tenniko presenta bei movimenti, ma senza kagotto: non fa parte della “Fifa” pur potendo costituirne elemento sufficiente ancorché non necessario. E’ un peccato vedere che tutti quelli che necessitavano di andare in bagno erano lì in coda….per farla! Ma noi ormai avevamo scelto.

Inoltre ci siamo trovati subito con un bel cartello “Ferrata chiusa” con tanto di recinzione all’attacco. Insomma, un bel benvenuto, dopo circa 350 km fatti non certo per imbottigliare il mare; tuttavia la presenza della coda dipanata sul percorso e l’assenza di corpi “estranei” in caduta libera, ci ha fatto escludere problemi di manutenzione, anche se ha generato qualche dubbio sulla presenza di sostantivi quali “negligenza, imperizia”, ect. all’interno della scatola kranika.

Calzati gli attrezzi tecnici, siamo saliti sui circa 400 mt di dislivello che, alla fine, hanno separato l’ultimo filo di cotone delle mutande impaurite da terra, con estrema gioia dei partecipanti.

A quel punto eravamo già contenti di quanto fatto e potevamo anche ritornare a casa, però…….abbiamo cominciato/continuato nel nostro lento e lungo peregrinare.

Prima risalita al Rifugio Stevìa, con panorami notevoli sulle cime circostanti, successivamente trasferimento alla Forcela de la Pizla e discesa al Rifugio Firenze, in un’oasi di silenzio e ordine magistrale. Qui relax, fra strudel, politica e minkiate……..due su tutte: il malinteso sul “pepsi-cologo” e quello sul fatto che Diego, oggi assente, e Roberta, oggi presente, si fossero conosciuti anni addietro in Alaska, piuttosto che in una sciata sulle Alpi Centrali con lo Sci-Club “Alaska”………

Un altro gruppo, invece, formato da Paolinux, Anna, Achille e Pier ha scelto di percorrere gli itinerari storici presenti sulla Pieralongia, celebre struttura rocciosa strapiombante nelle wc-nanze del rifugio, dove è presente, seppur con chiodi vecchi, una via celebre di Vinatzer. In questo modo passa il tempo che ci separa dal metter le gambe sòta al taul.

Alle 19.00 si mangia, ma si rispetta il canone dei rifugi dolomitici, dove guai a tirar fuori il proprio cibo: beh, i Tuder in fianco a noi hanno tirato fuori un “porko zippato”. Chissà, forse all’inizio del loro giro era un porko intero e a furia di mangiarlo ne è avanzato più o meno il kilo che vedevamo noi.

Alle 22.00 crucche la luce scompare ed il segnale è forte: si deve dormire, tranne il fatto di sbagliare porta per salire in camera: una porta a scrigno, infatti, separava le scale dal deposito ciabatte e l’andare a destra o a sinistra poteva fare la sua bella e sporka differenza, con tutte le conseguenze del caso. Tra un pigiamino da lord veneto

ed il Cristo Morto del Mantegna, ci apprestiamo a condurre una notte ricca di sonno, senonché ad un tratto esce un grido dalla notte (non poteva mancare una sorpresa in una notte apparentemente tranquilla e quasi condotta in porto):

“No, no, no!!!”….”Cos’è, cos’è….cos’è!!?”

Purtroppo non sapremo mai cos’era, cos’è e cosa sarà, una cosa è certa: il sonno è andato a farsi fottere, almeno sino al risveglio, scandito da uno starnuto dell’ottavo grado della scala Mercalli: gli acari e i micro-batteri presenti prima dello starnuto saranno ora in Australia, intenti a chiedersi cosa sia successo!!!

Scendiamo a fare colazione, consci del fatto che la meta odierna, la Ferrata del Sass Rigais, è abbastanza improponibile, ma consapevoli del fatto che le alternative non mancano. Esce dal cilindro la traversata verso il Rifugio Puez, che non è uno sputo-tirolese, ma un percorso che si svolge abbastanza in quota e che permette di addentrarsi in un dedalo di sentieri, più o meno evidenti e che permettono di  depositare se stessi su alcune cime apparentemente di poco conto. Su una di queste, il Piz Duleda (mt. 2.909) decidiamo di appoggiare le membra semi-stanche, ma soprattutto fredde.

Verso le 12.40 siamo al Puez, dove la servitù ha funzioni ben precise e dove non si può sgarrare, del tipo: c’è la tipa a cui devi ordinare e c’è quella inkaricata dei lavori pesanti: guai a scambiarle o a fare domande impertinenti; dove devi rispettare la segnaletika (non ti alzi dai “tuoi” spazi delimitati almeno sino a quando hai pagato!) e chiedere il permesso per la mossa successiva. Mancava solo che ti lasciassero un biglietto con la votazione del servizio ricevuto…….si sa, c’è gente che fa di tutto per rendersi simpatica come un mucchietto di sabbia nelle mutande!

A questo punto scartiamo l’ultima ipotesi di procedere verso Colfosco con il Sassongher come ultima meta (anche perché il ritorno in pullman sarebbe ostacolato dai Passi chiusi causa Corsa in Bici di alto livello) e decidiamo di perdere quota col sentiero n° 14 che porta di botto in fondo alla Vallunga, ma in fondo dal lato sbagliato, nel senso che una volta scesi, occorre percorrerla tutta e lì c’è poco da farsi domande; è un po’ come chiedersi “Cosa fa Federica Pellegrini quando non nuota?”, un po’ di idee potrebbero venire, ma la risposta è scontata. Ad un tratto vediamo pecore che girano con le corde da 50 mt, posizionate su prati pensili che chissà come diavolo hanno raggiunto ed infine, calcoliamo che la Walle è più o meno di 5 kilometri e bisogna farseli tutti fino alla staccionata finale, dove arrivi con le allucinazioni e dove le stesse giocano brutti scherzi: le Torte Sacher dei rifugi qui sembrano Boasce Fresche…! Come tutte le cose, anche questa finisce.

Morale: per tutto il giorno non abbiamo preso una goccia d’acqua, il kulo ringrazia e a conti fatti è andata di Gran Lusso, perché sul Rigais avremmo patito freddo, mentre se fossimo andati al Sassolungo probabilmente avremmo dovuto prendere la coda e metterla fra le gambe, inciampando nelle pive e ritrovandoci pure il sacco vuoto.

Il ritorno si svolge in una specie di incubo che sboccia a Peschiera e forse un giro dal Pepsi-Kologo ogni tanto aiuterebbe; si, perché ieri c’erano 150 km di coda! E non si capiva perché e da dove poteva scaturire una tale quantità di gente in giro in un giorno di acqua. Forse non sappiamo qualcosa o stiamo perdendo il lume…..

Dopo circa 4,5 h possiamo finalmente dire conclusa anche questa nuova avventura, ma non quella che adesso aspettiamo con ansia e tripudio annunciato: mangiare le Sarde del Nuzzo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Finché c’è vita c’è speranza, ma finché ci sarà fango…..i majali continueranno a sguazzare come pochi! Bello, sincero e da ripetere, con questi partecipanti:

Stefania, Anna, Sara, Roberta, Irene, Achille, Silvan, Paolinux, Pier, Antonio Inox, Ale Nuzzo, Ale Barin, Boris, Ermanno, Massimo e Patajean.

 

P.s. ….a proposito, le cose le facciamo talmente al contrario che adesso è come se non avessimo fatto ancora nulla e fossimo pronti a fare qualcosa; quindi non vediamo l’ora! Sòta chi biott…..

Patajean

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