31 marzo – 1 aprile 2012: Dall’Amigdala al Basodino (3273m)

“Quodcumque sibi imperavit animus, omnia obtinuit”
(Quando l’animo è riuscito a comandare a se stesso, tutto ha ottenuto) [Seneca, De ira]

L’ascesa al Basodino me la immaginavo lunga già quando la leggevo sulle relazioni agli inizi delle mie esperienze sci alpinistiche piu’ di 15 anni fa. Non potevo però pensare che il coinvolgimento mi costasse ben tre settimane. Una preparazione lunga , durata ben tre mercoledì sera passati in sede a Bovisio, un approccio diverso, direi unico perché si partiva veramente da lontano: perché andare sul Basodino, perché andare a fare scialpinismo? Cosa ci spinge a fare cio’? Come gestiamo le emozioni quando stiamo arrampicando sull’ultimo tratto alpinistico molto esposto?
Sono venuti a parlarcene degli esperti: i bravissimi Mario (il coach, che ha rinunciato al microfono perchè faceva le pernacchie) e Silvia (la psicologa, nell’imbarazzante ruolo di ex allieva metamorfosata in docente, stimolata pure a dare un giudizio su come insegnavano gli istruttori al corso di alpinismo). Abbiamo cominciato con il capire che abbiamo non un cervello ma due: il secondo sta nella pancia o giù di lì, non ne siamo consapevoli ma è quello che dà la direzione, quello che mi spinge ad andare in cima al Basodino! Il primo è invece quello che dà benzina, che pianifica la gita che spinge su sci e racchette in precario equilibrio verso la Kastellucke (la bocchetta del Castel): insomma lo schiavo del secondo! Il bello è che di fronte all’emozione il primo cervello (quello razionale tanto caro alla cultura occidentale) passa pure in secondo piano perché l’amigdala (la sentinella a forma di mandorla) preferisce mandare gli stimoli alle ghiandole surrenali (ad esempio quando ti dicono “stronzo”), che a loro volta liberano l’adrenalina che ti fa sudare e prudere le mani: è il sequestro emozionale: non ragioni più per un certo intervallo di tempo.

Altra bella nozione è stata quella dei neuroni specchio (scoperti da un italiano all’università di Parma, per una volta un cervello non emigrato all’estero, pure compagno di banco di mia madre al liceo) che spiegano come mai siamo animali sociali, empatici e tendiamo a scimmiottare il prossimo. Insomma la vita alla fine è sempre un copia e incolla.
Teoria sì, ma poi anche pratica. Il “povero” Renzo si è trovato catapultato in un esperimento dove ha rivissuto mentalmente una situazione del suo passato che aveva mal gestito, cercando a posteriori il modo migliore per affrontarla.
In altre parole, complicandola ulteriormente, se adesso mi trovo a gestire una situazione dove sono molto emozionato, potrei immaginare di vederla come la vedrei tra un anno quando non sarei magari preso dall’emozione. Insomma, basta che al cervello vengano fatte le domande giuste che questo alla fine la soluzione la trova sempre.
Dimenticavo di dire che le serate erano “aggiornamenti istruttori” (grazie Cesare e Matteo per l’organizzazione) e quindi ci è stato pure spiegato come insegnare, magari mostrando i movimenti dell’arrampicata che poi l’allievo “scimmiotterà” (magari meglio); oppure che il sorriso favorisce l’empatia (il mettersi nei panni dell’altro) e “un bravo” è meglio di un “non hai capito un bel niente”. Ho scoperto poi che rabbia + paura fanno aggressività.
E’ con questo coinvolgimento che sabato 31 marzo alle 14 ci siamo ritrovati al MAC DONALD’S di Varedo pieno di merenderos che specchiavano i neuroni nei loro cheeseburgers. Poi via verso la Val Formazza con sosta gelato a metà valle e poi, indossati gli sci a a Riale, su verso il Maria Luisa in un’oretta e mezza. La luce del tramonto ha regalato come al solito i migliori “sequestri emozionali” e ci ha fatto sentire tutti molto “empatici”.

Il Rifugio Maria Luisa ( 2150 m) è molto bello, i rivestimenti in legno ti avvolgono ma non ti soffocano. Il locale scarponi invece ti soffoca nel vero senso della parola: è posizionato come “filtro” tra l’esterno e l’interno del rifugio , ci devi passare e devi trattenere il fiato! Manco fossimo sul Monte Melma!
A tavola è venuto fuori il solito florilegio di facezie, annotate diligentemente sul taccuino che ho mutuato dal maestro Boris (quello ci scrive sopra h 24. anche quando dorme): il portafoglio del San Bernardo (del Pata), le dita grosse (di Silvano) che non riescono a digitare sugli attuali smart/tablet, per finire alla sequenza del “dialogo interno”: stronzo-amigdala-ghiandole surrenali-adrenalina-mi prudono le mani.
La notte passa abbastanza liscia a parte il calorifero lasciato acceso che ha fatto esplodere la caldazza verso le due di notte. Meno male che ho aperto la porta.
La mattina dolce risveglio con la farfallina di Belen, solo che Belen non c’era!

Colazione e via alle 6,50! Raccogliamo Fausto che era partito da Milano alle 3 e aveva nelle gambe già un‘ oretta e mezza e poi, via verso la Bocchetta del Castel a 2714m. Salita molto redditizia dove la “neocorteccia” (sede delle funzioni cognitive che nel mio caso l’è quel che l’è) era impegnata a cercare di collegare tutte le teorie e tecniche sulle emozioni alla vita quotidiana, mentre l’amigdala ad ogni passo scollegava il ragionamento per concentrare l’attenzione sul terreno ghiacciato, dove era necessario trovare il giusto equilibrio tra il grip della pelle di foca e la lamina incisa nel ghiaccio (ovviamente se avessi messo i rampanti l’amidgdala se ne sarebbe stata tranquilla).

Alla bocchetta del Castel vittoria per tutti: panorama mozzafiato, amigdala rilassata perche il ghiaccio era finito, e consolazione pure per il ragionamento con il suo giusto richiamo: in tutte le teorie e tecniche apprese sulle emozioni e sull’insegnamento non si è mai parlato di ETICA: forse valeva la pena farne un accenno (absit iniuria verbis); hai voglia a insegnare ad andare in montagna e a stabilire un buon rapporto con l’allievo se alla base non ci sono le regole etiche condivise (normalmente per chi va in montagna il rispetto, la lealtà, l’educazione, il senso di responsabilità ecc. ecc.) Mi son ricordato che una volta un istruttore durante una prova ARVA aveva bisogno di un sacchettino per nascondere lo strumento e senza alcun ritegno è andato a buttare per aria lo zaino di un povero allievo ignaro. Se non c’è la base, puoi fare le migliori lezioni e mostrarti come un ottimo alpinista da emulare, ma ciò serve a poco: la merda mola la sta minga ‘m pe’, come direbbe la nonna!
Perdiamo quindi un po’ di quota per evitare un salto di roccia e iniziamo la traversata del ghiacciaio del Basodino. Basta ragionamenti e viceversa attenzione a pulsazioni, respiro, passi: insomma funzioni essenziali, senza tanti fronzoli e ricami perché qui si rischia di impiantarsi e di non arrivare in cima. Con non poca fatica raggiungo gli altri al deposito sci e dopo una ventina di minuti di facile e goduriosa arrampicata, mi siedo finalmente sulla cima del Basodino (3273m), godendo di un panorama impareggiabile a 360°.

La neve in discesa passa dal peggio che si potesse trovare (sastrugi di mezzo metro, mai visti, veri muretti da evitare!) a neve gradatamente sempre piu’ molle fino alla macchina, con passaggi improbabili neve-fango nell’ultimo tratto nei pressi di Riale. Dopo il lavaggio sci alla fontana, il momento più “epatico”: rimanere in mutande dopo avere abbandonato tutto alla rinfusa nei pressi della macchina.

Poi colomba e birra alla cascata del Toce sorvegliati dalla Madonna con bambino con gli sci (d’oro).

Alla prossima!
Grazie a Stefania, Diego, Gigi, Silvano, Fausto e Patajean.
Alberto (questa volta ribattezzato “Bolle” per via dei “pantarecchia” indossati da Riale al Rifugio Maria Luisa).

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