Un viaggio più che una gita! Proprio come piace a noi, un gran bel giro che con tempo bello guadagna almeno la vecchia zona Uefa senza quasi giocare. Un’ immensa circumnavigazione tra Italia e Svizzera da consigliare ai malati di quota e a quelli che finalmente hanno voglia di lustrarsi gli occhi con ambienti diversi! Come ha detto qualcuno di noi, qui si parte solo se la sera del venerdì ti sei preso una “supposta con la polvere da sparo”! altrimenti non ti muovi più.
Quando sposi questa passione, ti infilano la fede e ti fanno giurare che “l’anello” sarà un tuo punto forte: hanno ragione e noi l’applichiamo anche andando “in giro”.
Giro classico da Corso SA2, con ambiente d’alta montagna , ma soprattutto panorama mozzafiato impagabile e che ripaga abbondantemente la spesa…..del rifugio!
Il Vallese in sé è un po’ bruttino, fatto di cave e monotono nella sua parte bassa, poi si cominciano a vedere i brianzoli e poi i mugnach (in estate però) e quindi l’ambiente si scalda e diventa improvvisamente di casa.
Dalla cima del Pigne è un po’ come aprire un barattolo di yogurt e leccarselo sino alla fine: probabilmente senza la materia grigia (cosa facile in momenti di estasi come questi) ci mangeremmo anche quello! Qui non c’è niente di impossibile, anche se alcune cime avrebbero il loro aspetto tecnico (l’Eveque è semplicemente come una velina in mezzo ad un mondo di ghiaccio: fa un po’ schifo come paragone, però non puoi fare a meno di guardarla e magari oseresti perfino metterle le mani addosso!) ed il misto sarebbe di interesse, ma quello che si vede e la varietà di certi giri, ne fanno uno dei posti più belli delle Alpi (e non a caso di qui passa anche la Haute Route, che è un po’ come Via della Spiga a Milano!).
Che lo sia lo dimostra – ahimé – anche l’eliski che da queste parti purtroppo trova molti adepti e non è certo uno sport (!?!) da remulazz.
Se la gita fosse caduta in data 1° di aprile nessuno si sarebbe presentato, comunque partiamo sabato 2 aprile dall’ormai rodato parcheggio della Decathlon di Bollate, dove il posto auto è talmente comodo che il nostro Ronz decide quasi di occuparlo “per il lungo”.
Qualcuno propone che già che siamo in ballo potremmo spingerci un po’ più in là ed attaccare direttamente il McKinley però a Varzo già ci fermiamo; neanche stessimo parlando di San Diego, che avrà sicuramente più di due uscite autostradali. Qui il paese è piccolo, ma perdersi è gioco forza. Fortunatamente ci ritroviamo nel bar di riferimento, dove il clou è rappresentato dal Comitato degli Asini e dall’Assemblea che si tiene annualmente sugli stessi. Sentendoci chiamati in causa….paghiamo e togliamo il disturbo. Il Renzo-Wagon sembra bombardato dalle lettere che Boris legge ai suoi discepoli e delle quali farà presto anche un saggio. Da qui in poi sono solo montagne, a cominciare da quelle dell’Oberland (dove presto ci kagheremo!) per finire con ogni valle che si apre mentre la direzione presa è quella di Sion, da cui parte la nostra: la Val d’Herèns. Memori che “le più grandi balle le racconta l’alpino quando torna a valle”…..ci convinciamo che forse, data la distanza chilometrica, la valle non esiste e che Arolla è più sinonimo di Grolla, almeno fino a quando non percepiamo le prime case e il vecchio impianto, costituito da uno skilift col bastone, di quelli antichi e contenuti nei musei di Bobbio e/o Bormio: i mitici skilift con la partenza “di slancio” e con le curve. Il Mont Collon sta di fronte e ci fa capire quanto possa essere enorme una montagna.
Il primo giorno la gita consiste nel portarsi al Pas de Chèvres (a 2.829 mt), dove un paio di scale un po’ brividose vi depositano sul jazée della Cabane des Dix a 2.928 metri, proprio in faccia al Mont Blanc de Cheilon, maestosa cima che prima o poi visiteremo. La capanna sorge su un picco roccioso in un ambiente quasi unico; è molto accogliente e ben tenuta (da esempio anche al mondo italico)…..forse un po’ troppo costosa e ce ne accorgeremo dopo. Il pomeriggio passa tra la voglia di portarsi in vetta a La Luette, proprio spetasciata di fronte al rifugio, la voglia di guardarsi in giro (e motivo ce n’è!) ed una birra. Prevale quest’ultima ed uno scambio relazionale con il mondo franco-svizzero, sempre disponibile al dialogo.
Tra l’altro da notare che appena scesi dalle scale metalliche del Pas de Chèvres, incontriamo un gruppo di circa 18 persone di cui 16 almeno erano ragazze!!!! Ed era una gita sociale di Martigny……abbiamo quasi chiesto un gemellaggio, quasi da combinare una gita all’anno da queste parti; quello che emerge è che le ragazze di “altrove” sono molto ma moooooolto più disposte a far fatica!
Alle 18,30 escono le galline ed entriamo noi; baraonda infernale e panico totale nel non trovare il nostro tavolo; l’unico nome che poteva ricordare qualcuno di noi era tal Jean-Luc Coureau…….insomma era il nostro!
Mangiamo anche le gambe del tavolo e gustiamo un paio di bicchieri di vino, fra la caldazza infernale e la puzza di chiuso: l’effetto Betlemme è nell’aria.
Al momento del pagamento un mezzo koccolone dovuto all’importo, che rasenta la doppia-mezza-pensione. Tre gite all’anno così e devi aprire un mutuo o sottoscrivere una polizza sui reni. Dopo anni di esperienza e con esempi come la Parmalat, eccoci capaci di alchimie tali da far scendere il costo totale unitario di almeno 11 euro complessivi a cranio. Un bell’esercizio ed una memo in testa per le prossime volte.
Andiamo finalmente a dormire con l’incubo del caldo e la notte passa bene, almeno per chi dorme. Per chi invece non riesce a chiudere occhio è un inferno!! Dormire (anzi non dormire!) con altre dieci persone è peggio che passare un paio d’ore alle Cornelle…….non sai bene dove stanno gli animali; rumori di ogni tipo, versi che neanche con un mixer riesci a riprodurre……quando poi cerchi di vomitare, suona la sveglia. Altro bordellone in sala per la colazione: in effetti all’estero ti accorgi che gli italiani sono gli altri: in strada siamo stati superati in curva a 100 km/h da una macchina quasi su due ruote che strombazzava; al rifugio siamo stati spintonati e superati in coda più volte (anche per pagare); infine la mattina arrivavano tipacci con la damigiana per il thé caldo (compreso nella mezza-pensione)…addirittura gente che non ha bevuto la sera prima pur di soddisfare la propria sete a detrimento di tutti gli altri. Abbiamo guardato bene, ma sul nostro tavolo non c’era alcun riferimento al fatto che fossimo libici e/o che venissimo da Manduria (neanche tracce di nostri barconi fuori dal rifugio facevano presagire tale natura!). Comunque al di là di tutto, l’ospitalità c’è stata e non ci si può neanche lamentare più di tanto.
Partiamo all’alba, circa alle 6,50 con il sole che già si manifestava. Si tratta di circa 1.000 metri di dislivello, per uno sviluppo di circa 10 km in salita ed altri 8 in discesa. La salita inizialmente è su ghiacciaio con notevole dislivello, ma niente pericoli, poi diventa immensamente panoramico e quindi si azionano tutte le forze motrici, occhi compresi. Si passano diversi colli, lo Tsijiore Neuve, la Serpentine, il Col de Brenay sino ad arrivare in vetta alla Pigne d’Arolla, poco meno di 3.800 metri. Vista spaziale soprattutto sulle montagne circostanti, poco conosciute ma solo perché soverchiate dai miti e qui ce ne sono tanti.
Quando l’oftalmia è passata e gli occhi chiedono lo standard normale allora decidiamo nell’ordine: mano, foto, cibo. La direzione è la Cabane de Vignettes, un nido d’aquila costruito su quello che rimane il permafrost di un costone a circa 3.150 metri prima di kagarsi giù sul “Glacier de Pièce” nuovamente in direzione di Arolla.
La discesa dal Pigne non è per nulla complicata, complice il manto nevoso abbondante, mentre la neve comincia ad assumere sembianze non proprio ideali in prossimità della parte bassa. Appena sopra la Cabane de Vignettes passiamo sotto una barriera di seracchi non proprio igienici e che in estate creano qualche disagio a chi citofona loro!
Siamo nell’anfiteatro finale che ci vede scendere in direzione di Arolla, ormai sazi e desiderosi di togliere tutto, visto che i 20 e passa gradi sembrano non risparmiare nessuno.
Che dire: il posto merita senz’altro un’altra visita ed il giro in sé è veramente bello; sempre meglio farlo come lo abbiamo percorso noi e non in senso inverso, per ragioni ovvie e che si possono verificare solo facendolo.
La salita alla cima è valutata in circa 4 ore, a meno che non vi fermiate qualche minuto ad osservare tutti quei “kuli di pietra” che pagano per farsi portare in cima con l’elicottero.
I complici di questo bel weekend sono stati: Stefania, Silvano, Alberto, GigiEmme, Renzo, Max, Boris, Gonzales, Roger, Patajean e Alessandro (il suo mix è: 5 kg di zaino e 85 kg di vestiario, possibilmente tutto addosso e nero!!!; giacca-vento di granito e calzoni in calcestruzzo…..poi lascia la faccia scoperta e non si mette la crema. Alla macchina lo vedi in mutande e con le calze verdi e sembra proprio l’emblema del popolo italico! un mito).
Pingback:Valle del Seveso » Blog Archive » Trahit sua quemque voluptas (Virgilio – Ognuno rincorre il suo piacere): Pigna d’Arolla 3790m – 2, 3 aprile 2011