“Curiosus spectator excutit singula et quaerit” – L’osservatore avido di sapere, scruta e studia ogni singola cosa (Seneca, Naturales Quaestiones Praef., 11)
Ospitiamo qui il racconto dell’allieva Francesca
“Dove osano le aquile”
Nulla faceva presagire una gita scialpinistica, né il cielo sempre plumbeo carico di neve, nemmeno i bollettini meteo e men che meno i bollettini neve e valanghe che durante la settimana davano responsi tutt’altro che rassicuranti. Anche alla fine della lezione teorica di giovedì scorso il direttore Alberto ha chiuso la lezione con un lapidario: “ vi dirò all’ultimo momento dove sarà la gita, ma potrebbe anche non farsi per condizioni nivo-meteo avverse”. Siamo rimasti da giovedì a sabato appesi a un filo o meglio in attesa di un messaggino WhatsApp che ci avrebbe finalmente tolto dall’incertezza, tagliando il nodo gordiano delle nostre sorti scialpinistiche. Con sorpresa, nel primo pomeriggio di sabato, riceviamo, tutti noi allievi, il responso: solo l’incipit ci ha messo tutti di buonumore “Si va”, successivamente ci ha comunicato la meta ovvero la Val d’Aosta e precisamente Col des Fontaines o col de la Croux.
Domenica mattina partiamo alle 6 da Varedo alla volta della ambita e ricercata Val d’Aosta. Dopo aver fatto colazione in un autogrill strapieno di persone e degno della sfida all’ok corral per ottenere l’agognato caffè, ci rimettiamo in auto: destinazione Cheneil in Valtournanche. Arrivati al parcheggio ci accorgiamo subito di 3 cose: il cielo è ancora plumbeo, ci sono un sacco di automobili parcheggiate di altre scuole del Cai valdostano e, soprattutto, c’è una piccola cremagliera gratuita per raggiungere il paese sommitale. Gli istruttori ci rincuorano dicendoci che il pericolo in questa zona della valle sarebbe stato di “grado 3 in diminuzione” e che il cielo, secondo le previsioni, si sarebbe aperto nel pomeriggio. Noi allievi non potevamo che fidarci ma il cielo era veramente plumbeo e il freddo ci attanagliava. Io ero in gruppo con Marta ed avevamo come istruttori Stefania, Anna, Mirko e Pierangelo e, quando ho visto tutti questi istruttori, ho pensato “non si può certo dire che questa scuola Cai non segua i suoi allievi”. Pierangelo e Mirko hanno subito cominciato a farci notare le particolarità del manto nevoso, senza dimenticare di farci orientare la cartina ed individuare, ragionando, il miglior percorso che avremmo potuto seguire.
Ci siamo messi in marcia e abbiamo raggiunto gli altri istruttori e allievi del nostro corso guidati dal “diretur” che faceva da apripista. Più salivamo più i nostri istruttori sembrano rassicurati dall’itinerario e dalle condizioni di neve; all’inizio non vi erano grandi pendenze, l’unico dubbio l’avevano sull’ultima parte che sapevano essere un po’ ripida ma, a me sembrava già tanto riuscire ad arrivare in cima. Mentre Pierangelo ci faceva notare la migliore microtraccia da seguire per evitare cornici o accumuli per procedere in sicurezza, ecco sopra di noi una bellissima aquila. Tutti ne veniamo “rapiti” almeno nel pensiero e per un attimo la stanchezza se ne va lasciando il posto alla contemplazione del maestoso rapace che si innalza sopra di noi seguendo le termiche più efficaci per il suo volo.
Dopo questa insolita apparizione, la marcia riprende con più buonumore e la serie di inversioni di marcia a Y (le famigerate pertichette) sembrano pure più semplici dell’ultima gita, oppure ero in giornata positiva: un bel gruppo simpatico che procede serrato verso la cima tra una spiegazione e l’altra degli istruttori, senza dimenticare gli aneddoti montani e qualche barzelletta.
Arrivati in cima, mi stavo quasi commuovendo ma la commozione iniziale è subito e letteralmente spazzata via dalle forti raffiche di vento, che paralizzavano persino il pensiero. Come automi seguiamo i saggi consigli degli istruttori: “togliete le pelli degli sci velocemente e attenti che qui vola tutto e poi scendiamo” e, a documentare la Cima, resta credo qualche fotografia e un breve video realizzato da Jacopo.
Poi la discesa all’inizio mi è sembrata “un problema” ma dopo aver fatto la prima curva mi sono rincuorata e con Pier, Anna, Stefania, Marta e Mirko ci siamo divertiti a scendere il pendio. Tutti seguivamo Pier e Alberto che hanno sempre avuto un ottimo “fiuto” per trovare i bei pendii innevati su neve bellissima.
Poi è arrivato il momento dell’esercitazione: ricerca artva multipla e tecnica di scavo a nastro trasportatore, e poi un po’ di stratigrafia del manto nevoso. Grazie a questa esercitazione noi allievi abbiamo “veramente toccato con mano” i diversi strati di neve che si sono “costruiti e decostruiti” nel tempo e ci siamo esercitati nel trovare almeno due apparecchi artva.
Il gran finale dell’esercitazione è stato assistere a una “una simulazione delle manovre di autossocorso in uno scenario valanghivo” fatta da tutti i nostri istruttori. Alberto e Giuseppe hanno preparato una zona in cui hanno sotterrato due artva per simulare “i travolti in valanga con artva” e poi uno zaino, per simulare la ricerca del travolto in valanga senza apparecchio artva. Alberto ha chiamato tutti gli istruttori dicendo “E’ caduta una valanga che ha travolto tre persone” e abbiamo visto come velocemente e sapientemente tutti i nostri istruttori si sono attivati: individuando un leader, definendo chi chiamava i soccorsi, altri che cercavano con gli artva, una vera macchina organizzativa ben “oliata”. Per la cronaca, il primo disseppellimento è avvenuto dopo 4 minuti e 39 e l’altro dopo 6 minuti circa, mentre il terzo sommerso in valanga (lo zainetto) che non aveva l’artva è stato trovato dopo 19 minuti; una dimostrazione di quanto siano importanti gli apparecchi artva ed il saper fare con velocità le manovre di autosoccorso. Alla fine dell’esercitazione abbiamo rivisto proprio sopra di noi l’aquila o il Gipeto che, mi piace immaginare, ci salutava per aver osato varcare le sue montagne e mandarci un arrivederci.
Poi siamo scesi attraverso il bosco facendo slalom tra le piante, stando attenti a sciare “di precisione” per evitare di portare a casa qualche pino o abete. Come sempre tutto si è risolto con una buona merenda: birra, panino e, per molti, grappe e genepì finale.
Francesca R